DEGLI IMPRINTING - Lab. di Sintesi Prof. Antonino Saggio
Il Ponte di Triana a Siviglia
Il mio luogo dell’imprinting si trova proprio lì, sotto il Ponte di Triana a Siviglia, un angolo ai piedi del fiume Guadalquivir che, per un anno, ha rappresentato tutto il mio mondo.
Siviglia, per me, è nata in quel punto: un luogo che sembrava immutabile nel suo divenire. Era il mio angolo preferito, dove il tempo rallentava; lì, anche nei momenti in cui sembrava che niente andasse per il verso giusto, sentivo di esistere davvero. Come se, in quel tratto, l’aria avesse il potere di farsi carica delle mie preoccupazioni, dissolvendole nelle sfumature cangianti del cielo. Siviglia si rifletteva nelle acque del Guadalquivir e le facciate delle case si illuminavano di colori diversi, come pennellate veloci su una tela naturale, mentre la luce si distendeva sulle superfici morbide delle onde.
Al calare dell'oscurità, il ponte si accendeva di una luce calda, svelando una scenografia diversa e familiare: sullo sfondo, l’immagine fiera della Torre di Siviglia, che con la sua presenza austera si stagliava perfettamente fuori contesto, eppure in qualche modo necessaria. Quella torre era un contorno stabile in un mondo in movimento, una figura che emergeva silenziosa e al tempo stesso indispensabile, come il punto fermo di uno sguardo rivolto al futuro. Ogni sera, quasi per magia, quando il giorno sta per finire e viene quella luce che non si sa bene, quella lenta luce di morte, Siviglia si rianimava grazie all’accensione delle luci sul ponte, in un gesto che sapeva quasi di rito: un modo per vedersi vivere a dispetto delle tenebre che arrivano. Il riflesso della torre, mescolato a quello delle persone e delle case lungo il fiume, dipingeva un quadro di contrasti: il dinamismo del Guadalquivir e l’imperturbabilità delle luci sul ponte. Non mi serviva altro.
Ogni giorno, una sorta di incanto si ripeteva: le persone che affollavano la riva sembravano immerse in un’energia diversa, tutte accomunate da una serenità sottile. C’era chi leggeva un libro, disteso su una coperta, chi prendeva il sole, chi si lasciava trasportare dal ritmo della musica, chi danzava senza preoccuparsi di chi osservasse. Era una celebrazione informale, un ritrovo in cui chiunque poteva sentirsi accolto, libero di vivere quel luogo a modo proprio. Quel piccolo pezzo di mondo era un punto d’incontro naturale, un respiro nel flusso della giornata, dove bastava una sigaretta condivisa per sentirsi al proprio posto. Non c’era bisogno di grandi discorsi o piani, solo di esserci.
Salendo sul Ponte di Triana, la vista era una prospettiva che si apriva in una sorta di abbraccio verso la città. Da quella posizione sopraelevata, vedevo il fiume che spaccava la città in due metà, la Giralda che dominava il profilo urbano, e i tetti bianchi e dorati che, al tramonto, si fondevano in una luce particolare, quasi magica. A quell’ora, la luce si faceva potente, quasi liquida, accarezzando ogni superficie con una grazia che sembrava riservata a quei pochi che, come me, sapevano apprezzarla.
Questo era il rito di tutti: fermarsi sul ponte e osservare la vita che scorreva, sospesa nel movimento placido del fiume. Sentivo che Siviglia era divisa, certo, ma che il Guadalquivir non era una barriera; anzi, quella linea fluida sembrava unire tutto, come un filo che cuciva insieme le sue due anime. Le acque, sempre in movimento, portavano con sé i riflessi della città, i tramonti infuocati, le luci della sera e gli echi delle risate. Le sponde opposte, con le loro architetture, rispecchiavano le differenze e le contraddizioni che definiscono Siviglia, e io mi sentivo una parte di quell’intreccio.
Ogni tramonto era un’esperienza unica, una visione potente che mi faceva sentire in pace con il mondo. In quei momenti capivo che non importava quanto le cose fossero incerte o difficili: esistere era già abbastanza, respirare quella bellezza effimera era sufficiente. La luce del tramonto su Siviglia mi ricordava che, in fondo, il mondo ha sempre qualcosa di meraviglioso da offrire, anche quando tutto sembra andare storto.
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